A Selvino e a Nembro, in provincia di Bergamo, dove la scorsa primavera il numero di morti rispetto al 2019 è aumentato del 1000%, a causa del Covid, ha lavorato fra gli altri un giovane medico di base, Riccardo.
In quelle settimane tragiche aveva il compito di assistere 1400 persone. Molti si sono ammalati, ma nessuno è morto. Un mezzo miracolo, vista la strage che c’è stata in quei paesi.Come è potuto succedere? «Sono andato a casa dei pazienti tutti i giorni – ha risposto il medico in un’intervista – mentre praticamente tutte le persone morte sono rimaste per settimane a casa senza assistenza. Riferivano i sintomi al medico di famiglia, alla guardia medica, al 118, ma c’era sempre qualcuno più urgente da seguire. Se i medici di base avessero visitato i pazienti e attivato per tempo l’assistenza domiciliare integrata, con l’ossigenoterapia e un infermiere per la reidratazione, le persone si sarebbero salvate».
Pur prendendo con un minimo di prudenza queste affermazioni, ci pare che si sia dentro una logica valida e che andrebbe applicata con forza anche nella situazione attuale. Cioè che la medicina sul territorio è fondamentale.
Il rischio più grande, oggi che le curve di contagio si impennano, è che il sistema sanitario vada in tilt. Se tutti coloro che temono di aver contratto il virus o che ce l’hanno per davvero si presentano ai pronto soccorso o vengono ricoverati negli ospedali, si arriverà presto alla saturazione e all’impossibilità di prestare cure. Questa è anche la prima preoccupazione della Regione, che in questi giorni ha redatto un piano sanitario mettendo in chiaro cosa succederà a seconda della differente pressione sulle strutture.
Perciò ci pare che questo sia il momento per valorizzare e potenziare il ruolo della medicina di base e dei pediatri. È corretto e condivisibile che i medici di famiglia e i pediatria domandino il massimo supporto per poter lavorare in sicurezza: i dispositivi più sicuri vanno loro forniti perché possano assistere tutti i malati o i sospetti tali con serenità. Se fosse possibile, questo sarebbe anche il momento per accrescere il numero di questi professionisti, con l’ingresso di giovani.
Oggi, però – per esempio – solo il 20% dei medici di base del Veneto si è reso disponibile per praticare i tamponi rapidi. Gli altri chiedono maggiori tutele. Bene, gliele si diano. Ma la linea di difesa contro il montare dell’epidemia è questa: la medicina del territorio. Vale per la diagnosi: sempre più si va, per fortuna, verso test che si possono fare senza coinvolgere laboratori ospedalieri. Ma pensiamo valga anche per la terapia, visto che ormai i protocolli di cura si stanno standardizzando.
Siamo tutti sulla stessa barca, come ripete Papa Francesco, e qualcuno è chiamato a remare con particolare vigore. Sosteniamolo quanto più possibile.
Giorgio Malavasi