Sta per festeggiare i 60 anni di sacerdozio monsignor Giuseppe Manzato, per oltre vent’anni parroco di Santo Stefano a Caorle e tutt’oggi collaboratore dell’attuale parroco monsignor Danilo Barlese (che è anche parroco della Collaborazione Pastorale).
Nato nel 1938, mons. Manzato fu ordinato sacerdote il 4 luglio 1965: in quasi sessant’anni di servizio sacerdotale, don Giuseppe, come lo chiamano tutti i parrocchiani, ha vissuto al servizio di Dio e della diocesi di Venezia sempre con grande devozione e con grande umiltà.
Originario di Ponte Crepaldo di Eraclea, secondo figlio di Angelo e Erminia (per tutti Angela) che ebbero anche quattro figlie femmine (di cui una ancora in vita), sente la vocazione ad undici anni.
«La nostra era una famiglia povera, avevamo una casa che all’epoca era senza riscaldamento», ricorda don Giuseppe. «Avevo undici anni ed era inverno e faceva freddo sotto le coperte: ho chiamato mia mamma e le ho detto che volevo farmi prete. A quell’epoca facevo il chierichetto a Ponte Crepaldo. Mia madre prese in mano la questione e ci pensò lei ad aiutarmi a perseguire questa ispirazione che mi aveva mandato il Signore: sempre lei incontrò e mi fece incontrare il parroco di Eraclea e trovò chi poteva aiutarci economicamente. Feci l’esame di ammissione per poter frequentare le scuole medie in seminario: era il 1951 ed iniziai in quel momento il mio percorso di studio. Il Signore mi ha sempre accompagnato in ogni passo ed ho avuto la fortuna di ricevere l’aiuto di persone vicine, mia mamma in primis oltre a chierici e lettori che mi hanno sostenuto».
Nel 1965, subito dopo l’ordinazione, giunse il primo incarico da ministro di Dio presso la parrocchia di Santa Maria Maddalena di Oriago. «Arrivai il 21 luglio, la vigilia della Festa parrocchiale che si sarebbe celebrata il giorno seguente. Trovai lì un parroco che mi voleva bene: mi accolse e mi aiutò a conoscere la parrocchia ed ebbe subito fiducia in me».
Dopo quattro anni, nell’ottobre 1969 don Giuseppe fu trasferito presso la parrocchia di Santa Maria Ausiliatrice della Gazzera: «Dovevo aiutare il parroco che stava diventando cieco», ricorda don Giuseppe. «Rimasi con lui finché la sua situazione non costrinse la Diocesi a nominare un altro parroco che affiancai fino a dicembre del 1974 quando venni nominato parroco nell’isola di Sant’Erasmo. Fu una bella esperienza: ricordo che non c’erano macchine, ci si muoveva in bici e i collegamenti con Venezia erano limitati ai pochi vaporetti disponibili. Seguivo anche l’Isola delle Vignole. Mi muovevo molto da un’isola all’altra per assicurare il mio ministero. Mi colpirono i diversi accenti tra le varie isole della parte nord della laguna e quelle della parte più a sud. Un episodio di quegli anni che mi rimase in mente fu l’incontro con il Patriarca Albino Luciani, nel luglio del 1978: andai da lui per raccontargli una questione della mia parrocchia, ma il futuro Papa Giovanni Paolo I passò più tempo a parlarmi delle pene e delle preoccupazioni che in quel momento lo affliggevano. Poco più di un mese dopo da quell’incontro, Luciani divenne Papa».
Nel 1981, l’allora Patriarca di Venezia Marco Cè lo trasferì alla guida della parrocchia dei Santi Geremia e Lucia a Venezia, a pochi passi dalla stazione ferroviaria: «Fu un periodo molto intenso», prosegue don Giuseppe. «Il Patriarca mi affidò anche un servizio nell’ufficio pastorale del turismo, anche se io non conoscevo le lingue straniere. Collaboravo con l’équipe che organizzava visite guidate alla Basilica di San Marco per illustrare i mosaici ai turisti. C’era una suora che conosceva l’inglese che coordinava il lavoro e poi arrivarono altri da Spagna, Francia, Inghilterra e anche studenti universitari dalla Polonia che si preparavano per fare le guide all’interno della Basilica».
Fu proprio mentre era parroco da appena un mese nella parrocchia veneziana che monsignor Manzato si trovò ad affrontare il furto sacrilego del corpo di Santa Lucia: «Era il 27 novembre del 1981 e due persone, con il volto coperto, entrarono in chiesa con la pistola in mano. C’eravamo solo io ed una coppia in chiesa in quel momento: mentre ci tenevano sotto tiro, uno dei due sfondò la teca e prese il corpo della Santa, lasciando lì la testa. Scapparono poi nella nebbia con un barchino: il corpo della Santa fu ritrovato dalla questura il 12 dicembre, proprio la vigilia della festa dedicata a Santa Lucia».
A fine 1996, infine, l’ultimo trasferimento di don Giuseppe: dopo la morte di monsignor Giovanni Fattore, il Patriarca lo chiamò a prendere la guida della parrocchia Santo Stefano di Caorle dove vive ancora oggi.
Fino al 2018, don Giuseppe ha condotto la parrocchia vedendo pian piano aumentare i suoi compiti che non si limitavano solamente alla parrocchia del centro storico, ma anche a Sansonessa e successivamente arrivarono anche incarichi per Brussa e Castello di Brussa, affidati dall’allora Patriarca Angelo Scola, e temporaneamente per San Gaetano. «Il Signore mi ha sempre accompagnato nel servizio ed io ho cercato di fare il meglio possibile, dedicandomi con umiltà al mio ministero».
Molto amato dai suoi parrocchiani, anche oggi don Giuseppe continua ad assicurare il suo servizio dedicandosi alle confessioni, ai malati, alla riflessione sulla Parola di Dio ed alla preparazione delle omelie, oltre a guidare i gruppi d’ascolto. «Avendo terminato i miei compiti da parroco e tutte le incombenze burocratiche ad esso connesse, mi sento spiritualmente ringiovanito», conclude con un sorriso.
Riccardo Coppo