di Michele di Bari
La Mostra del cinema di Venezia è un mondo ravvicinato che consente di guardare negli occhi attori , attrici , registi e sceneggiatori , attraverso il loro passaggio sul red carpet, che anche quest’anno, alla sua ottantesima edizione, si è ripetuto, generando sogni che dispiegano i loro effetti nella gioia di ritrovarsi insieme tra persone provenienti da ogni continente.
È un mondo che diventa fucina di un pensiero lungo che, al suo primo giorno, ha assunto il volto della solidarietà e dell’umanità tutta italiana; un marchio di fabbrica che distingue gli italiani per il loro slancio a farsi carico delle difficoltà degli altri , di cui il film “ Il Comandante “ costituisce un raffinato esempio.
Una giornata ricca perché, come immagini riflesse in uno specchio, la testimonianza della regista Liliana Cavani che, ritirando da Roberto Cicutto, presidente della Biennale cinema, e da Charlotte Rampling il Leone d’oro alla carriera , ha tratteggiato i mali oscuri dell’uomo e delle sue inquietudini .
Due visioni del mondo che sostanzialmente pongono l’uomo e la sua libertà al centro di scelte difficili, cui la coscienza quando interpellata, ci impedisce di fuggire.
Non più un vissuto dentro i recinti rassicuranti delle nostre abitudini e di prassi consolidate, ma la forza della responsabilità che irrompe nel nuovo per scardinare la logica
accomodante , allo scopo di evitare che possano essere compromesse le nostre certezze.
Lo dimostra la storia de “ Il Comandante“, magistralmente interpretato da Pierfrancesco Favino , che , con il suo sommergibile , affonda un piroscafo mercantile e salva 26 naufraghi belgi.
Alle leggi, il Comandante ha privilegiato la propria coscienza che sussurra “siamo uomini di mare”.
Sembra di rileggere l’Antigone di Sofocle che decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice , disobbedendo al decreto del nuovo re di Tebe, Creonte che la vieta.
Non meno incisive sono state le parole della regista Liliana Cavani “ Sono la prima donna regista a ricevere il premio alla carriera e non lo trovo giusto. E’ necessario senz’altro fare un progresso perché ci sono tante donne brave e mi auguro che questo inizio abbia un seguito negli anni”.
Ma è con la chiosa finale che la regista del “portiere di notte” interroga la coscienza di ognuno, richiamando il ruolo della scuola , soprattutto per le nuove generazioni , per recuperare la smemoratezza del passato che ci impedisce di guardare con fiducia al futuro spesso caratterizzato da diffuse paure.
Si avverte il bisogno di una cultura, capace di scuotere le coscienze e di una vivacità artistica, che sperimenti il nuovo che avanza in cui l’umanità è chiamata a restare centrale nelle dinamiche di ogni esistenza.
La conoscenza della storia e della “bestia che è in noi“ , così come mostrata da Liliana Cavani , ci fa rialzare e ci indica la rotta dell’umanità , evitando , come annotato da Kierkegaard nel suo Diario, “La nave è in mano al cuoco di bordo e ciò che trasmette il megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.
Ecco , il volto di Liliana Cavani e quello del Comandante sono apparsi , appunto , due convincenti immagini riflesse nel medesimo specchio che segnano l’orizzonte dell’uomo.