Il governatore della Regione Veneto Luca Zaia è stato chiaro e preciso nel presentare la questione in dibattito in Consiglio regionale martedì 16 gennaio: non si tratta di votare per il fine vita, c’è già una sentenza della Corte Costituzionale, ma si tratta di dare “tempi certi” alla sua applicazione come richiesto dalla legge di iniziativa popolare che è stata presentata dall’Associazione Luca Coscioni che, da anni, appoggia l’introduzione dell’Eutanasia legale nel nostro ordinamento.
La questione bioetica di fondo è però proprio in queste parole così attente: i “tempi certi”. La Regione Veneto così recepisce solo parzialmente le indicazioni della Consulta, poiché questa non è la prima e nemmeno l’unica preoccupazione espressa dalla Corte Costituzionale, nelle sue condizioni per l’applicazione del suicidio assistito e nelle sue argomentazioni della sentenza 242/2019. Condizioni e argomentazioni: entrambe. E tutte le condizioni e tutte le argomentazioni sono da mantenere valide per poter applicare correttamente, eticamente e giuridicamente, la sentenza. Non solo un “punticino” sui tempi certi. Così si cade in una ideologia che conosciamo bene, quella dei promotori della legge di iniziativa popolare. Solo quando l’istituzione competente, e si è discusso a lungo se sia la Regione a esserlo in quanto espressione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), terrà conto di tutte le condizioni e le argomentazioni della sentenza ci sarà un dibattito che rispetti la dignità umana di tutti i malati terminali e del malato in tutte le sue dimensioni, in primis il diritto a essere curato fino alla fine, togliendo la sofferenza, avendo accesso alle cure palliative e non lasciandolo solo ma accompagnandolo con relazioni che diano speranza nella vita seppur terminale.
Un esempio per capire: la legge di iniziativa popolare non recepisce le argomentazioni della Corte Costituzionale sulle cure palliative e i promotori pensano di farci credere che sceglierle dipenda solo dalla autoderminazione del malato. Ma non è così nella sentenza della Corte (tra l’altro, in questi giorni il Comitato Nazionale per la Bioetica ha pubblicato un parere sulle cure palliative perché siano percepite correttamente nella giusta e ampia prospettiva che le contraddistingue).
Inoltre nella sentenza della Corte si parla di valutazione delle condizioni per accedere al suicidio assistito attraverso un Comitato etico e secondo alcune procedure messe in atto dal SSN: ma se la valutazione è negativa, cioè se non ci sono le condizioni per l’applicazione della sentenza al caso concreto, si ricorre alla magistratura trovando un’altra strada per imporre la propria autodeterminazione. Così però si tradisce la sentenza della suprema Corte togliendo valore al Comitato etico deputato alla valutazione.
Ci sarebbe poi da dire qualcosa anche sui “tempi certi” che sembrano più espressione di “tempi brevi”: si possono veramente imporre tempi così stretti, 27 giorni, ad una riflessione etica e giuridica che sarebbe messa “sotto pressione” e quindi viziata nelle sue conclusioni? Non c’è bisogno di più tempo a volte per una riflessione così delicata perché ne risulti adeguata? Il malato terminale che ha fatto la richiesta di suicidio assistito non dovrebbe essere accompagnato, nei tempi adeguati, da persone competenti a livello medico e psicologico per poter aprirsi ad altre soluzioni? In questo modo si rispetterebbero anche altre argomentazioni proposte dalla Corte costituzionale.
Alla fine il Consiglio regionale veneto del 16 gennaio non ha approvato la legge, perché non ci sono stati abbastanza voti a favore. Ma il punto focale rimane un altro: si può votare per una legge che fa di un punticino della sentenza della Consulta, i tempi certi e al massimo la copertura economica della procedura a carico del SSN, il “topolino” che scaccia “l’elefante” della sentenza stessa? Questa sentenza articolata, argomentata e precisa, è rispettata pienamente quindi solo se presa nella sua integralità, per preservare dal pericolo di un allargamento sconsiderato e non previsto dei casi di suicidio assistito, come si vede in diverse sentenze della magistratura ordinaria. Purtroppo il problema di fondo rimane: quando il Parlamento farà la legge nazionale richiesta dalla Corte Costituzionale? Ma questa volta con l’intento di rispettare la sentenza integralmente e non allargandone le maglie concentrandosi su un “punticino” e dimenticando ideologicamente il tutto della garanzia etica e giuridica.
Ermanno Barucco
Coordinatore del “Gremio di Bioetica”