«Un segno che ci ricorda la bellezza di consacrare interamente la vita a Dio». E’ il Seminario Patriarcale, di cui ricorrerà la Giornata domenica 18 maggio.
«Una data per noi importante, perché in diocesi la Giornata per il Seminario si celebra la quinta domenica di Pasqua, subito dopo la quarta domenica che è dedicata alla preghiera per le vocazioni. Dunque diventa un tempo Pasquale in cui la Chiesa universale e la Chiesa diocesana ci invitano a non dimenticarci del dono che è la vita come vocazione, in cui ogni battezzato è chiamato a servire il Signore», spiega il Rettore del Seminario don Fabrizio Favaro.
«Per noi del Seminario è una giornata molto importante perché in questa occasione – prosegue il Rettore – si percepisce in modo evidente la preghiera, la simpatia, la vicinanza della diocesi, della Chiesa, quindi delle comunità cristiane nei confronti del Seminario. Ecco, questo è un elemento che per noi è molto importante», aggiunge il Rettore ricordando poi il messaggio del Patriarca, che riportiamo in prima pagina e che dà il titolo alla giornata stessa: “Fatti per essere felici”, a sottolineare la gioia di consacrarsi al Signore. «Solo donando tutto al Signore – scrive infatti il Patriarca – possiamo sperimentare la felicità per cui siamo stati creati».
E oggi più che mai, chiosa don Favaro, «il Seminario, oltre ad essere una istituzione per la formazione di futuri preti, assume anche un significato particolare della Chiesa. Perché, di fronte all’assottigliarsi dei conventi, dei monasteri di vita contemplativa e attiva, il Seminario rimane un segno che ci ricorda la bellezza di consacrare, di donare interamente la vita a Dio. Quindi ha un valore anche simbolico, quasi profetico, oltre che funzionale».
Ed è un segno che sempre di più viene percepito in modo concreto dalle comunità cristiane di Venezia e non solo, attraverso le tante visite da parte dei gruppi parrocchiali. «Questo è un aspetto bello del nostro Seminario. Di sicuro Venezia attira chi viene da fuori diocesi, ma in generale abbiamo tanti gruppi, soprattutto di giovani, di ragazzi, di bambini del catechismo che vengono per vivere un momento di ritiro, di formazione, in qualche caso anche dormendo qui. Di solito i seminaristi tengono dei momenti di formazione utilizzando anche le opere d’arte della Basilica per fare catechesi e poi fanno testimonianza raccontandosi: questo diventa un momento di dialogo, di catechesi, di annuncio della vita come vocazione».
Seminaristi: età media più giovane. La Comunità è formata attualmente da 8 giovani seminaristi: «Sono quasi tutti coetanei, perché sei hanno 22 anni mentre due hanno 28, 29 anni. Uno di questi due più grandi, don Rafael, verrà ordinato presbitero il prossimo 28 giugno e attualmente si trova a Roma, perché sta già iniziando a frequentare il corso di licenza in teologia morale», spiega don Favaro. Degli altri sette, uno sta vivendo la tappa discepolare che è quella dove si mette al centro l’essere discepolo di Gesù, quindi il crescere nell’amicizia e nella fede in Cristo. Gli altri 7 si trovano nella tappa configuratrice, dove si lavora sulla propria somiglianza con Cristo pastore. Tre sono stranieri: don Rafael viene dalla Colombia, Rafael dal Brasile e Andres da Madrid (Spagna). «Loro – riferisce il rettore – sono qui attraverso il cammino neocatecumenale, perché nel momento in cui si sono alzati dando la loro disponibilità per iniziare la formazione in un seminario, dai loro catechisti e responsabili è stata chiesta la disponibilità di venire a Venezia, dove vivono ormai da diversi anni, e dove resteranno come presbiteri. Saranno quindi preti veneziani a tutti gli effetti. Gli altri provengono dalle nostre parrocchie, con percorsi diversi».
Tra gli aspetti che emergono in questi ultimi tempi è l’abbassamento dell’età dei giovani seminaristi. «Devo dire – conferma don Favaro – che da quando sono rettore, cioè da 11 anni, ho visto che l’età media dei seminaristi era un po’ più alta di oggi, intorno ai 25, 26 anni. Molti di loro iniziavano il cammino di formazione in Seminario dopo una laurea breve o specialistica o qualche anno di lavoro. Negli ultimi anni invece, gli ingressi sono stati tutti dopo la maturità. Con la bellezza e anche la fatica di questo aspetto, perché ci sono i pro e i contro. L’età matura chiaramente dà una maggiore solidità, dettata anche dal fatto di essere stati già “provati” dalla vita, ma dà anche una certa rigidità caratteriale, perché a 25-30 anni è difficile reimpostarsi totalmente. I più giovani sono più entusiasti, sono meno rigidi, però portano anche le paure, le insicurezze, soprattutto le fragilità dei loro coetanei. Quindi c’è una freschezza che fa gioire, ma c’è anche l’aspetto della fragilità da tenere in considerazione».
La formazione. Per quanto riguarda la formazione, essa è divisa in quattro tappe. «C’è un anno propedeutico, poi due anni discepolari, dove il centro della formazione è crescere nell’amicizia per il Signore Gesù, poi ci sono almeno tre anni di tappa configuratrice, dove invece il lavoro formativo è fare propri i sentimenti di Cristo pastore, quindi la misericordia, la vicinanza, prendersi cura del gregge, il dare la vita. E un ultimo anno di sintesi prima dell’ordinazione. In parallelo, anche se con scansioni diverse c’è la formazione accademica perché tutti devono avere un titolo accademico ecclesiastico e quindi ci sono almeno sei anni di formazione per conseguire il titolo accademico. Questi due livelli possono anche non essere del tutto allineati – osserva il Rettore – perché poi il cammino personale, di fede e umano può essere diverso dalla formazione e dagli studi». Molto importante è la vita comunitaria, all’interno del Seminario, ma anche, nella fase discepolare, la testimonianza delle suore di clausura di Sant’Alvise, che i ragazzi vanno a trovare periodicamente. Vi è poi il servizio alla Caritas, presso la Casa San Giuseppe alle Muneghette. Mentre nei tre anni successivi, quando si dà una maggiore attenzione all’aspetto della missione, c’è il servizio in parrocchia, ma non solo. C’è chi presta servizio in carcere, chi presso aggregazioni laicali. «Mentre quattro seminaristi quest’estate andranno due mesi in Kenya, nella nostra missione africana».
In tutto questo, sottolinea don Favaro, c’è la preziosità del Seminario, una comunità dove dei giovani testimoniano la gioia, la bellezza e anche la possibilità di consacrarsi a Dio. «Dobbiamo essere un po’ gelosi del nostro Seminario, perché è vero che si potrebbe organizzare la formazione diversamente, magari facendo studiare i ragazzi altrove, ma averlo qui è una testimonianza preziosa. In un tempo in cui si registra tutto “in meno”, con il numero dei fedeli in calo, noi vogliamo rilanciare: ci sono segni belli nella nostra Chiesa, che vanno custoditi».
Serena Spinazzi Lucchesi