La strada è quella giusta. Far pagare di più chi guadagna con il turismo e destinare quei soldi a chi sta scontando i disagi e i costi di quello stesso turismo, cioè i veneziani. Parliamo della nuova modulazione della tassa di soggiorno, decisa dal Comune di Venezia, che riguarderà anche le affittanze turistiche, quelle proliferate negli ultimi anni grazie alla piattaforma web “Airbnb”. Per loro la tassa di soggiorno non sarà più fissa a quota 1,5 euro al giorno, ma varierà tra i 2 e i 5 euro. Secondo i calcoli fatti dall’amministrazione comunale, entrerà circa un milione di euro in più e la promessa è di destinare questa cifra a «copertura dei costi che derivano dal turismo e che non devono ricadere sui cittadini veneziani», dice l’assessore al Bilancio Michele Zuin.
E se invece quel milione di euro finisse in un fondo per la residenza? Non solo restauro del patrimonio pubblico esistente, ma anche acquisizione di immobili da destinare al social housing: con il milione di euro che entrerebbe ogni anno e con gli affitti che deriverebbero dal social housing il Comune – o una sua agenzia – potrebbe accendere dei mutui per moltiplicare le acquisizioni, partendo magari da quel patrimonio ex demaniale che sta per finire in mano ai privati (vedi l’ex Vida a San Giacomo). In fin dei conti tra le ricadute del turismo c’è anche la perdita di residenti: più appartamenti su Airbnb significa meno alloggi disponibili per chi a Venezia vorrebbe abitarci. Ed è una ricaduta, negativa, che la tassa di soggiorno potrebbe in qualche modo calmierare.