Due anni in più di scuola dell’obbligo non fanno male a nessuno. Anzi. Aggiungere alla maggior età anagrafica una maggior età culturale che sostenga le scelte individuali e civili è cosa buona.
Anche solo per la corretta comprensione di un requisito referendario. O per firmare un contratto consapevoli di averne compreso i contenuti. Per questo l’ipotesi della ministra Fedeli di alzare l’età dell’obbligo scolastico a diciott’anni non è da sottovalutare. Lei parla di una “società della conoscenza” che potenzia crescita e benessere. E ha ragione. Perché al contrario di ciò che si dice in giro, sono cultura e ingegno i veri motori di una sana crescita economica e sociale.
Insomma, a studiare di più ne viene in tasca molto non solo al ragazzino che oggi vorrebbe fermarsi due anni prima: ma anche al suo futuro datore di lavoro, che grazie a lui svilupperà l’azienda; ai suoi futuri figli, che condivideranno con lui nuove tecnologie; al vicino di casa, che quando verrà l’ora di discutere sulle briciole cadute sul suo terrazzo si troveranno le parole giuste per sedare gli animi e accordarsi civilmente sul luogo consono a scrollare la tovaglia; allo Stato, che si ritroverà un buon governo a dirigerlo, scelto in base ai punti del programma elettorale e non al carisma del suo leader; e anche alla Terra, che con le accurate scelte ecologiche del singolo che ne ha studiato le sue leggi potrà finalmente tirare un sospiro di sollievo.
La cultura è un diritto, è vero. Ma è giusto si trasformi in dovere quando di andare a scuola non si vuole sentir ragione (ma si possono introdurre forme innovative di scuola…).
L’istruzione obbligatoria (meglio ancora se potenziata di due anni) è come un vaccino contro l’idiozia. La puntura fa male, la paura è tanta, la voglia è poca. Ma poi si è protetti per tutta la vita.
Giulia Busetto