Un altro successo per la 55° edizione della festa di San Pietro di Castello, chiusa domenica scorsa: più di 150 volontari, tra le 3000 e le 4000 presenze a serata e più di 13.000 biglietti della lotteria venduti.
«Il vecchio “stanchi ma felici” vale sempre», commenta Paolo Basili al termine della festa organizzata dal Comitato di cui è presidente. «Il programma è corposo e la preparazione richiede 40 giorni di lavoro intensivo, a volte con 14 ore al giorno se pensiamo che durante la festa alcuni di noi restano in campo a pulire fino alle 2 di notte. Però la soddisfazione è grande perché tra noi c’è un buon clima e perché vediamo partecipare tanti veneziani di tutte le fasce d’età. Qui non c’è la solo la cucina, c’è molto di più e le persone lo sentono e ci ringraziano. A volte riceviamo complimenti anche da persone sconosciute che ci incrociano durante la festa». Per quanto riguarda l’organizzazione sempre più complessa, Basili aggiunge: «Per alcuni lavori avremmo bisogno dell’aiuto di alcune ditte perché è difficile contare solo sui volontari, ma, finché riusciamo, cerchiamo di continuare così per non perdere lo spirito di comunità che si sente anche nei preparativi. Per quanto riguarda la formazione dei volontari, ho chiesto all’assessore Pesce se il Comune in futuro possa offrire dei corsi su rispetto e sicurezza con rilascio di certificati, non solo per la nostra festa, ma anche per altre sagre della città».
«Vedendo questa festa per la prima volta ho trovato veramente impressionante il lavoro dei volontari e incredibile il numero di persone che hanno partecipato ogni sera», commenta il parroco don Balter, arrivato a Castello da meno di un anno. «È veramente sentita da tutta la città. C’è un bel clima e sono stato contento di vedere la chiesa piena per la celebrazione con il Patriarca».
Durante l’omelia mons. Francesco Moraglia ha ricordato l’importanza delle radici come punto di partenza per vivere attivamente il presente: «Le origini ecclesiali di Venezia non sono San Marco, ma Olivolo-Castello – ha ricordato – ed è fondamentale che la comunità locale mantenga vive le radici di questa città perché, se mancano le radici, non ci saranno i frutti. Mantenere le radici vuol dire amare il presente, non come vorremmo che fosse, ma così come ci è dato, tenendo conto che ciascuno di noi può segnare il presente. Ricordiamoci che la comunità è tale se riesce a coniugare l’”io” della persona con il “noi” della comunità e che una persona è veramente riuscita come tale quando fa qualcosa per la sua comunità».
Camilla Pustetto