«Quando arrivo dalla stazione e vedo il canale di Cannaregio mi si apre il cuore. Sono a casa, mi dico. In questa città sono felice, anche se bisogna regolare questo turismo».
Da “Turista per caso” a veneziano per scelta. Patrizio Roversi, 71 anni, nato a Mantova ma bolognese di adozione, ha scelto di venire a vivere in laguna. Volto noto della tv con i suoi programmi innovativi negli anni Novanta insieme a Susy Blady, come appunto “Turisti per caso”, “Velisti per caso”, “Evoluti per caso”. Colto, ironico e alternativo è stato per anni un volto televisivo e un’icona del turismo giovane e avventuroso. Martedì sera era all’Ateneo Veneto per raccontare, intervistato da Guido Moltedo, la sua esperienza e le sue ricette per fronteggiare l’overtourism.
«Forse abbiamo sbagliato tutto – sorride – quando trent’anni fa cercavamo di far viaggiare tutti. Eravamo convinti che il turismo fosse alla fine un’industria pulita, che poteva portare solo benefici. Non è così purtroppo. Oggi il turismo è diventato una malattia. E quando hai una malattia cosa fai..? Cerchi di rafforzare le tue difese immunitarie».
In che modo?
Beh io forse seguo un modello molto ideologico, anni Cinquanta. Ma sono convinto che il punto forte sia la tutela urbanistica, la tutela dei residenti e del tessuto sociale. Solo così ci si può difendere dall’invasione. Il turismo va governato, con regole rigide, deve essere l’ente pubblico, il Comune, a decidere l’uso degli edifici. La proprietà privata è sacrosanta, ma l’uso deve essere deciso dall’amministrazione, le attività sono soggette a licenza. Un esempio? I bed and breakfast. Erano nati in Irlanda un secolo fa. Invece di andarsene all’estero i giovani e le famiglie potevano affittare una stanza della loro casa, e guadagnare un po’. Oggi è diverso. I B&b sono diventati un’industria, spesso in mano a società straniere. Bisogna fare in modo che tornino a essere gestiti dagli abitanti. In questo modo si riesce a distribuire il reddito prodotto dal turismo e si compensano i disagi.
Lei non crede nell’efficacia di strumenti più drastici, tipo il numero chiuso?
Difficile da applicare, il turismo va governato, non si possono fermare le persone. Il ticket? Va bene. Ma alla fine produce solo soldi, mentre il numero degli arrivi non diminuisce. Insisto: l’unico sistema è il governo del fenomeno, a cominciare dall’urbanistica e dal tessuto sociale»
Le piace vivere a Venezia?
Oh sì, sono felice di essere veneziano! Ci abito da un po’, ora prenderò la residenza dopo aver chiarito come fare per curare le mie magagne sanitarie…
Come è venuta l’idea di abitare qui?
Durante il Covid io abitavo con la mia fidanzata a Bologna. Lei ha detto che il suo sogno era venire a Venezia. Un amico aveva una casa vuota e ce l’ha data. Un sogno che si è realizzato. Mia figlia ha trent’anni, e ha scelto di andare a vivere in mezzo all’Appennino, dove non c’è nessuno. Venezia oggi è un paese di 45 mila abitanti. Ma è sempre un luogo al centro del mondo. Non è soltanto la bellezza di questa città, ma anche la sua dimensione slow, i suoi ritmi lenti, l’aria (e non è vero che è umida, a volte è proprio asciutta!), l’acqua, i canali. Poi c’è la gente. Quando vado a fare la spesa mi va via la mattina. Incontri gente per strada, ci parli, ti fermi. E’ una dimensione diversa. Avevo pensato quando sono arrivato di fare un libro alternativo: i luoghi brutti di Venezia. Un libro che sarebbe uscito con le pagine bianche, perché qui posti brutti non ce ne sono. In realtà qualche posto bruttino c’è, come le calli dietro la stazione. Poi giri l’angolo e tutto cambia…..
Quanti chilometri in giro per il mondo ha fatto il viaggiatore Roversi?
Tanti, tanti. E negli ultimi anni ancora di più. Vivo in treno. Sono sempre in treno. Adesso mi sono fermato qui. E ne sono felice. Sono contento di essere diventato veneziano!
Alberto Vitucci