Marco Aurelio Pasti è il nuovo presidente di Confagricoltura Venezia, eletto dai soci nella assemblea di martedì 22 luglio sera.
Pasti, 53 anni, conduce con fratelli e cugini, nel Basso Piave, un’azienda agricola di 600 ettari. Il nuovo presidente fa parte di una famiglia di origine veronese dedita all’agricoltura da oltre tre generazioni che arrivò nel veneziano all’inizio del ‘900 per la bonifica di terreni parzialmente sommersi. Dal dicembre 2001 al luglio 2017 Marco Aurelio Pasti è stato presidente dell’AMI, Associazione maiscoltori italiani.
L’emergenza Covid-19 che conseguenze ha già lasciato per l’agricoltura veneziana? Quali sono gli scenari che si aprono?
E’ ancora presto per capire che conseguenze lascerà quest’emergenza. Per il momento i primi mesi sono stati molto difficili per alcuni settori come l’agriturismo, il florovivaismo e parte del vitivinicolo, mentre altri settori hanno avuto impatti meno gravi. Gli scenari sono incerti perché non sappiamo ancora quando e come finirà la pandemia. Al momento stiamo vivendo una fase di tregua che ha permesso di riprendere un minimo di attività anche ai settori più colpiti. Spero che questa crisi possa aiutarci a capire l’importanza di mantenere una parte non trascurabile di produzione di cibo nel nostro Paese, produzione che negli ultimi anni è stata sempre più delegata all’estero.
La vitivinicoltura è un settore trainante per il Veneto e anche per l’area veneziana. Come si presenta la vendemmia 2020? Cosa succederà al nostro export di settore?
La vendemmia del 2020 dovrebbe avere rese sensibilmente inferiori rispetto alle ultime due campagne. Questo è un bene viste le difficoltà del mercato che stavano già emergendo e poi si sono aggravate con l’emergenza Covid. L’export ha trainato la crescita del settore nella nostra regione ed ora sta soffrendo, ma abbiamo un ottimo livello di aziende, guidate da imprenditori di livello che, spero, riusciranno a cogliere e creare nuove opportunità.
Lei è stato anche presidente nazionale dei maiscoltori italiani. I seminativi, ed in particolare, il mais attraversano da anni una grave crisi. Da tempo lei propone l’utilizzo anche in Italia di Ogm. A che punto siamo? Perché la ritiene una scelta efficace?
La crisi dei seminativi si è sviluppata negli ultimi vent’anni anni con successive riforme della politica agricola europea che hanno spostato risorse verso altri settori e altri Paesi. La crisi poi è stata aggravata dalla riduzione dei principi attivi utili per la difesa delle piante e dall’impossibilità di sperimentare ed eventualmente impiegare nuove varietà migliorate con le più moderne tecniche messe a punto dalla ricerca scientifica. Io non propongo l’utilizzo anche in Italia di qualsivoglia Ogm, che, sottolineo, è un termine privo di significato scientifico e oggetto di una guerra ideologica che ha fatto perdere di vista i vantaggi o gli svantaggi che questi organismi possono portare per l’ambiente, i consumatori o gli agricoltori. Bensì ho proposto l’impiego di mais resistente alla piralide, che è un insetto che nel nostro ambiente crea ingenti danni quantitativi, qualitativi e sanitari alle produzioni, oltre a renderle meno efficienti nell’uso di acqua, concimi ed energia e quindi più impattanti sull’ambiente. Il paradosso è che oggi non possiamo né fare sperimentazione né coltivarlo ma possiamo importarlo e utilizzarlo nella filiera alimentare, con il risultato che la produzione nazionale si è dimezzata e le importazioni sono enormemente aumentate. Il danno in perdita di conoscenze e sviluppo di competenze di questa miope politica peserà molto anche negli anni a venire, senza contare la paura scatenata nella gente per un pericolo inesistente, che forse è il danno più grave.
Durante quest’inverno, con la chiusura totale imposta dal Covid-19, si è evidenziato il problema della manodopera in agricoltura anche nel nostro territorio: perché? Quali soluzioni sono state trovate?
Negli ultimi anni sono diminuite le superfici a seminativo a favore di vigneti ed altre colture arboree che richiedono manodopera per le potature che vengono completate proprio nel periodo in cui è iniziato il lockdown. Più in generale il fabbisogno di manodopera, che pure si è ridotto grazie alla meccanizzazione, rimane importante per il settore ortofrutticolo e richiede personale specializzato che non è sempre facile reperire, mentre è necessaria una fase di formazione prima dell’impiego.
Quali sono le sue richieste a Regione, Governo e Unione Europea?
Siamo di fronte a sfide importanti, prima fra tutte quella di garantire una produzione sufficiente, per una popolazione in crescita, di alimenti sani rispettando l’ambiente e garantendo un giusto reddito ai produttori. Direi che questi siano obbiettivi condivisi da tutti. Sugli strumenti da mettere in campo per raggiungere questi obiettivi ci sono invece visioni anche molto divergenti. Credo che sia necessario esaminare bene i dati senza strumentalizzazioni per scegliere gli strumenti migliori, cosa che non è semplice data la complessità dell’ambiente e la variabilità dei fattori in gioco. Il progresso nelle conoscenze scientifiche, nella gestione dei dati e nella tecnica possono fornirci soluzioni utili a patto di poterle studiare e non rifiutarle a priori. E’ una sfida importante soprattutto nella nostra provincia, che è particolarmente esposta al cambiamento climatico e al rialzo del livello dei mari.
Qual è il suo auspicio in occasione dell’avvio del suo mandato?
Di riuscire a dare all’opinione pubblica un’immagine realistica dell’agricoltura, e agli agricoltori l’opportunità di dialogare con l’opinione pubblica.