Prima che arrivi il “diluvio” di pannelli fotovoltaici a fine vita, c’è chi sta pensando a come recuperarli, differenziando i materiali da cui sono composti.
Anche perché il “diluvio” è alle porte: tutti i pannelli prodotti tra il 2007 e il 2012 – gli anni del primo boom del fotovoltaico in Italia – invecchiano. Pensati per durare una ventina d’anni, già verso il 2025 cominceranno a essere dismessi. Anche perché, nel frattempo, i nuovi pannelli sono molto più economici e hanno efficienza doppia.
L’inventore della differenziata del fotovoltaico è un ingegnere, Pietro Giovanni Cerchier, 30 anni. Aveva cominciato a pensarci all’università, ma allora gli dicevano che era tempo sprecato: troppo in anticipo sulle necessità.
Cerchier è stato però giustamente ostinato: «C’è da considerare anche il fatto – racconta – che in Italia non esiste un impianto per il riciclo e qualcosa del genere c’è solo in Francia, dove però il recupero è di bassa qualità: il silicio non viene recuperato e altre materie prime non sono valorizzate».
Ma perché mettersi a pensare a questa tecnologia? In fin dei conti di silicio (sabbia) ce n’è dappertutto…: «Sì, ma il silicio metallico, necessario per i pannelli, si produce solo usando tanta energia. Perché, allora, sprecarla? E il vetro che contiene le celle, che è l’80% del pannello, è di alta qualità, creato per essere molto trasparente e resistente alle intemperie. Così abbiamo creato un prototipo grazie a cui si recuperano vetro, bandelle in rame, celle in silicio e, in futuro, anche l’argento».
A fare da “nido” a Cerchier e alla sua start up, la 9-Tech di Padova, c’è il GPLab di Veritas, che ha messo a disposizione gli spazi, l’intelligenza di un tecnico che ha collaborato a progettazione e realizzazione, Francesco Misato, e la voglia di crederci. Così si è già arrivati al brevetto. E si può cominciare a guardare al domani: alla produzione che starà sul mercato.
Giorgio Malavasi