«Oggi noi viviamo questa grande festa, oggi il mistero “nascosto da secoli in Dio… è stato rivelato” (cfr. Ef cap.3). Sì, l’Epifania è esattamente la “manifestazione” di Gesù alle genti che, come ha detto san Paolo, sono “chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa…” (Ef 3,6)».
Con queste parole, citando San Paolo, il Patriarca Francesco ha iniziato la sua omelia oggi, giovedì 6 gennaio 2022, nella Santa Messa dell’Epifania presso la cattedrale di San Marco Evangelista in Venezia. Nel corso della celebrazione, il seminarista diacono don Wasiewicz che trascorrerà alcuni mesi in Kenya nella missione di San Marco Evangelista di Ol Moran, dove opera un sacerdote veneziano, don Giacomo Basso, ha ricevuto una particolare benedizione e la consegna del crocifisso. Don Bogumił completerà con questo stage il suo iter di formazione verso il dono del ministero sacerdotale, che riceverà a Venezia il prossimo giugno. E non solo: ha anche annunciato che, se le condizioni epidemiologiche lo permetteranno, si recherà il prossimo luglio in Kenya, insieme a don Giovanni Volpato, per festeggiare il 25mo anniversario dalla fondazione della parrocchia.
Nell’omelia il Patriarca Francesco ha illustrato il nesso tra la festa odierna e la preghiera per le Missioni: «L’Epifania è, per sua essenza, una festa che richiama la dimensione universale e missionaria della Chiesa e, per questo, oggi, vogliamo tenere presenti – nella vicinanza spirituale, nell’affetto e nella nostra preghiera – i missionari che dalle nostre terre veneziane e venete sono
impegnati e vivono in varie parti del mondo per annunciare e testimoniare il Vangelo di Gesù Cristo, portatori della Sua luce, della Sua pace, della Sua verità. Un ricordo particolare va alla missione “veneziana” di Ol Moran, in Kenya, che in questi giorni festeggia anche i 25 anni dalla sua costituzione come parrocchia – intitolata a san Marco, per ricordare il legame forte con la realtà di Venezia – ed è guidata tuttora da un nostro sacerdote diocesano, don Giacomo Basso. In questo contesto si inserisce il rito – che vivremo tra breve – di benedizione e consegna del crocifisso e, quindi, il mandato missionario al nostro giovane diacono don Bogumił Wasiewicz che prossimamente – in preparazione e in vista dell’ordinazione sacerdotale – vivrà un’esperienza “missionaria” proprio nella parrocchia di San Marco a Ol Moran, nella Diocesi di Nyahururu in Kenya come succede, da qualche tempo, per tutti i seminaristi che sono incamminati verso il sacerdozio». La prassi di inviare i seminaristi ad Ol Moran è ormai consolidata nel Patriarcato di Venezia. In passato altri 8 giovani preti hanno già vissuto questo tempo di formazione, prima dell’ordinazione.
Quest’anno la missione veneziana in Kenya ha festeggiato il 25mo dell’erezione della parrocchia di San Marco Evangelista a Ol Moran, avvenuta formalmente il 1° gennaio del 1997. Fondata da don Giovanni Volpato (attualmente parroco a Passerella, vicino a Jesolo) è tuttora retta da un altro sacerdote del Patriarcato, don Giacomo Basso. L’ipotetico viaggio del Patriarca è ovviamente condizionato all’evolversi della situazione epidemiologica e sanitaria della pandemia.
Nel corso della sua omelia, il Patriarca Francesco ha sottolineato come dal racconto evangelico relativo all’adorazione dei Magi si possano trarre atteggiamenti diversi dinanzi al mistero dell’incontro Cristo. Diverso infatti è il modo in cui l’uomo reagisce quando Dio si rivela: «L’incontro fra Dio e uomo avviene nel cuore dell’uomo; è lì che si gioca la partita fondamentale nella vita di una persona. Le figure appena indicate vivono questo incontro in modo opposto: in una, i Magi e Giuseppe, c’è tutta l’umiltà e la disponibilità di chi si apre a quest’incontro e quindi alla fede; nell’altra, in Erode e in Giuda, si dà invece un atteggiamento di chiusura ostinata che viene dall’amore solo verso se stessi, dalla ricerca esclusiva del proprio io, del proprio potere, della propria affermazione fino a giungere al disprezzo di tutto e di tutti».
L’umiltà diviene perciò la chiave per comprendere e per vivere, nell’irrompere di Dio nella storia, tutta la grandezza del dono di Cristo: «Il criterio per incontrare Dio è sempre quello che già Maria, la Madre di Gesù, canta nel Magnificat: “…ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,51-52). L’umiltà è l’inizio – quasi il presupposto – della vita del discepolo del Signore. La figura dell’umile e dell’orgoglioso ci stanno di fronte, come esempi emblematici, e si pongono come modelli di accettazione ed accoglienza – o, al contrario, di rifiuto – del Dio che si rivela. Lo scontro tra luce e tenebre così continua. E le figure dei Magi e di Giuseppe sono in totale opposizione a quella di Erode. Attorno al Divino Bambino nato a Betlemme – lo testimonia il Vangelo di oggi – si svolge il grande duello che in ogni epoca e ovunque attraversa la storia: da un lato il senso del bene, la ricerca della verità, l’amore, ossia i Magi e Giuseppe; dall’altro, il senso del male, la ricerca del potere, l’odio, la persecuzione, ossia Erode, il re divorato dall’orgoglio».
«Attorno al Divino Bambino nato a Betlemme, lo testimonia il Vangelo di oggi, – continua il Patriarca – si svolge il grande duello che in ogni epoca e ovunque attraversa la storia: da un lato il senso del bene, la ricerca della verità, l’amore, ossia i Magi e Giuseppe; dall’altro, il senso del male, la ricerca del potere, l’odio, la persecuzione, ossia Erode, il re divorato dall’orgoglio. Molte volte, come discepoli del Signore, ci interpelliamo circa la nostra mancanza di amore, di carità, dimenticando che gli atti concreti d’amore e di carità sono un termine, un punto d’arrivo, l’espressione ultima della fede. La pienezza della fede, infatti, è la carità. Ma ci dimentichiamo che la fede ha un inizio e questo inizio è l’umiltà. Il filone spirituale dell’umiltà è anche quello delineato ed approfondito da san Giovanni della Croce con il suo parallelismo tra “nada y todo” (il nulla e il tutto): “Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente. / Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente”. I Magi, Giuseppe, Erode ci conducono a riflettere su questo incipit della vita spirituale – l’umiltà – senza il quale non ci può essere la fede che ha la sua pienezza nell’amore, la carità.
Dal nulla che siamo si arriva al dono di Dio; riconoscendo che siamo nulla si diventa tutto, ossia possiamo accogliere e trovare il tutto. È nel momento in cui ci si libera del proprio io che, allora, si diventa padroni di se stessi e, in un certo senso, “padroni” del mondo proprio perché si è divenuti liberi da se stessi e non può più desiderare e temere nulla».