M9 è pronto a ripartire dalla modestia. Niente più attesa di 200mila visitatori in un anno: «Era un’ipotesi campata per aria, neanche ci sarebbero stati», afferma il presidente della Fondazione di Venezia, Michele Bugliesi: «Possiamo stare tranquillamente sotto i numeri del 2019, cioè 70mila persone entrate, di cui 54mila paganti».
Dal 2021, poi, non appena il Governo consentirà di riaprire i musei, M9 di Mestre taglierà il costo dei ticket: da 14 a 10 euro per gli ingressi ordinari, formule più convenienti per famiglie e scuole.
Sta anche in questi numeri la nuova sfida del Museo del Novecento, grande avventura culturale per avviare la quale la Fondazione ha speso più di 100 milioni di euro. Ma il primo anno di vita è stato travagliato come pochi, sia perché si era partiti con ambizioni troppo alte sia perché su tutti è calata la bufera del Covid.
Così, un anno dopo, con i vertici praticamente del tutto rinnovati, si riparte. Non c’è da aspettarsi un museo radicalmente cambiato: le installazioni sono quelle. Però, sotto la pelle, qualche piccola rivoluzione prende corpo. «Vogliamo trasformarlo nel primo museo a impatto zero dal punto di vista energetico», promette Fabrizio Renzi, ingegnere, nuovo responsabile per la gestione e la tecnologia della struttura. Prima mossa sarà aumentare da 80 a 400 i kiloWatt di pannelli fotovoltaici installati sui tetti. Così, con energia verde autoprodotta, si potrà avere tanti megaWatt quanti ne servono – e ne servono tanti… – per far funzionare tutte le tecnologie delle sale.
Infatti i 276 pannelli fotovoltaici e le 63 sonde geotermiche già esistenti pare garantissero energia sufficiente a coprire il 100% del riscaldamento e il 40% del raffrescamento, ma nulla per la grande fame di elettricità di tutte le installazioni.
Cambieranno anche il software e le modalità del sistema di bigliettazione: «In generale – rimarca Bugliesi – realizzeremo riduzione dei costi, dato che c’erano ampi margini per mitigarli, e faremo economie di scala. La Fondazione si farà carico di continuare a sostenere M9, ma con un impegno progressivamente decrescente. Il museo non si sosterrà con i ricavi da biglietto, per i quali abbiamo aspettative contenute, ma anche con gli sponsor, che per essere trovati vanno cercati. L’obiettivo è di arrivare ad un pareggio dei conti nel 2023».
In sostanza, la cura ricostituente di M9 parte da quello che c’è e cambia in parte rotta rispetto ai destinatari. Non si disdegnano i turisti (quanto torneranno), ma l’obiettivo di fondo è di raccogliere le visite delle scolaresche e delle famiglie.
Quanto ai turisti, che sono stati il principale flop della prima annata, si pensa a collaborazioni, per esempio, con la Biennale, così che chi decida di pernottare a Mestre o anche a Venezia per vedere le rassegne della Biennale possa avere un ticket che prevede anche la visita al museo nel centro di Mestre.
Per Luca Molinari, docente di Architettura e da un paio di mesi nuovo responsabile scientifico del museo, «il fine che perseguiamo è un museo a misura di bambino e di fragilità. Significa che miriamo ad un maggior coinvolgimento dei bambini e di tutti i portatori di fragilità. Vogliamo che sia un museo per tutti e che produca anche integrazione con le comunità straniere presenti a Mestre e nelle nostre città».
A proposito di spazi e di proposte temporanee, infine, l’idea è questa: «Useremo l’atrio e l’ingresso come luoghi per sedersi e stare, e scale ed ammezzati per ospitare piccole mostre-satellite: ne faremo due ogni anno. La prima, da aprile ’21, sarà incentrata sulla storia di trenta alberi monumentali italiani. Poi c’è il grande vano da 1400 metri quadri al terzo piano, che ospiterà anch’esso due grandi mostre all’anno. La prima, appena riapriremo, sarà sullo studio e sui lavori dei progettisti di M9, i berlinesi Matthias Sauerbruch e Louisa Hutton.
Giorgio Malavasi