Oggi il Veneto ha battuto un record: più di 21mila nuovi casi di positività al Covid. Sono 21.056, per la precisione, secondo il bollettino della Regione.
In effetti sono i dati relativi a ieri (e forse includono qualche coda dell’Epifania). In ogni caso è l’ulteriore segnale di quanto contagiosa sia la variante Omicron e di quanto la pandemia sia diffusa.
È record anche il numero di persone attualmente positive nel territorio regionale: oggi sono quasi 173mila, il 3,5% della popolazione.
Sono da record anche le code e le attese sostenute dai cittadini dinanzi ai punti tampone organizzati dalle diverse Ulss: passare due o tre ore in attesa del proprio turno, avanzando lemme lemme, cinque metri al minuto, è diventato uno standard.
Che non sia arrivato il momento di ripensare alle strategie? In particolare a quella del tampone? Cioè di ripensare se, così com’è mutata la pandemia, sia da ripensare anche a come affrontarla?
La variante Omicron ha scombinato le carte con grande velocità: da mille casi al giorno, in Veneto, si è passati a 20mila nel giro di venti giorni.
Il tampone aveva un obiettivo: individuare il più presto possibile i casi positivi per isolarli e per procedere al tracciamento, così da porre in quarantena anche tutti i contatti stretti.
Con un numero così alto di persone infettate ha ancora senso? L’obiettivo è raggiungibile? Il tracciamento oggi non si fa praticamente più, semplicemente perché è impossibile: come si fa a telefonare a 20mila persone ogni giorno per conoscere i loro contatti? E quando si siano avuti i 5-10 contatti stretti che ciascuno ha, come si fa a fare 100mila telefonate al giorno per raggiungere tutte queste persone?
Ma d’altro canto, impegnare ore e ore di così tanti cittadini perché facciano un tampone per avere conferma di una diagnosi probabilissima, ha ancora senso? O non serve ormai solo per avere la contabilità della pandemia? (G.M.)