Chiamatelo “effetto domino” di buone pratiche che diventano contagiose. Fatto sta che quanto seminato – il termine non è casuale – dalla Fondazione Elena Trevisanato in Etiopia si sta moltiplicando, creando ulteriori occasioni di sviluppo. Accade con il progetto agricolo di Boadley, una zona arida e deserta diventata ora fertile, tanto da aver prodotto ben quattro raccolti in questo primo anno di coltivazione. La Fondazione intitolata a Elena Trevisanato, la giovane veneziana scomparsa a soli 21 anni, creata dalla famiglia Trevisanato, ha infatti avviato in quella zona, fino ad ora vocata alla pastorizia nomade, un progetto di irrigazione goccia a goccia, a partire da un pozzo profondo realizzato in loco, sempre dalla Fondazione, nel 2009.
Fatto l’impianto e create le condizioni perché non si verificassero allagamenti durante il periodo delle grandi piogge, sono arrivati i primi raccolti: addirittura quattro, laddove se ne aspettavano due, massimo tre. «E’ andata talmente bene che con il ricavato la cooperativa che cura il progetto ha potuto acquistare le sementi per il prossimo anno, ma ha anche comprato alcune caprette e pecore, con l’obiettivo di dedicarsi anche all’allevamento, da affiancare all’agricoltura», racconta Liliana Trevisanato, la mamma di Elena, appena rientrata dall’ultimo viaggio in Etiopia.
La cooperativa creata per seguire il progetto agricolo è composta da otto soci, ma a beneficiare della coltivazione sono molte più persone: le famiglie, tutte numerosissime, degli stessi soci e altri che hanno iniziato a lavorare sui campi. Inoltre, una zona finora tanto arida adesso fornisce ortaggi come coste, carote, pomodori che vengono messi in vendita al mercato e direttamente in loco. Ma il risultato va ben oltre questi “frutti” del deserto. «Gli altri abitanti della zona – prosegue – hanno colto le potenzialità di un simile progetto e vorrebbero fare altrettanto. Si sono riuniti in cooperative, sia pure informali, creandone ben cinque. Hanno 24 ettari a disposizione, che non sono pochi. E vorrebbero avviare un progetto analogo, con il nostro aiuto».
E’ questa la risposta più concreta a chi sbandiera con superficialità lo slogan “aiutiamoli a casa loro”: aiutarli si può, anzi si deve. Ma le modalità devono seguire percorsi di questo tipo, portati avanti a piccoli passi, coinvolgendo le popolazioni locali senza imporre progetti faraonici dall’alto. «Ed è importante – sottolinea la signora Liliana – che le popolazioni dimostrino buona volontà, siano realmente disponibili ad impegnarsi, a mettersi in gioco». In questo caso la dimostrazione è stata tangibile: «Per mostrarci la loro buona volontà hanno scavato un pozzo, raggiungendo i 22 metri di profondità. E l’hanno fatto con l’aiuto dei soli badili». La famiglia Trevisanato ha dunque deciso di raccogliere la sfida e di lavorare nei prossimi mesi alla raccolta di fondi per aiutare queste persone ad avviare il loro progetto agricolo. «L’esempio virtuoso – conclude – ha funzionato da stimolo. Ed è quello che più ci riempie di soddisfazione».
Serena Spinazzi Lucchesi